Scoliosi
Osteopatia Genova
Lo Studio di Osteopatia di Paolo Saccardi tratta la scoliosi.
I dismorfismi della colonna vertebrale costituiscono oggetto di preoccupazione soprattutto in età pediatrica a causa delle possibili conseguenze sul corretto sviluppo dello scheletro.
L'Osteopatia lavora sulla scoliosi sciogliendo dall'interno le costrizioni meccaniche vertebrali e favorendo così, per quanto possibile, una naturale riarmonizzazione delle curvature del rachide.
Il metodo osteopatico fornisce un contributo fondamentale al trattamento per la scoliosi per quanto riguarda soprattutto due aspetti:
- Rallentamento del livello di evolutività della scoliosi
- Miglioramento della qualità della vita del Paziente
A seguire i punti principali della pagina:
- Approccio osteopatico
- Trattamento osteopatico
- Integrazione dell'Osteopatia con i rimedi tradizionali
- Vantaggi del trattamento osteopatico
- Casi reali
- Definizione
- Segni e sintomi
- Cause
- Classificazione
- Prognosi
- Trattamento
Definizione di scoliosi
La scoliosi è un adattamento morfo-dinamico della colonna vertebrale che si esprime nelle tre dimensioni dello spazio.
Da un punto di vista clinico la scoliosi è caratterizzata dalla comparsa di una deviazione a livello delle fisiologiche curvature del rachide con associata una componente di rotazione vertebrale sull'asse verticale.
La scoliosi interessa circa il 3% della popolazione e colpisce le femmine 5 volte più frequentemente dei maschi.
La scoliosi può manifestarsi a qualsiasi età ma le scoliosi di maggior interesse clinico sono quelle che si sviluppano in età pediatrica poiché, in questa fase, assumono caratteristiche evolutive importanti.
La scoliosi, se controllata, generalmente rimane relegata a un disagio di tipo estetico e raramente assume connotazioni di gravità clinica.
Tuttavia, avendo una natura evolutiva, è necessario controllarne l'andamento e, possibilmente, cercare di arrestarne il decorso.
Segni e sintomi della scoliosi
Normalmente la scoliosi viene individuata a causa delle sue connotazioni estetiche, che nei casi più eclatanti saltano all'occhio anche dei non addetti ai lavori.
Alcuni segni tipici sono:
- Evidenziazione di gibbo dorsale durante la flessione del tronco in avanti
- Una spalla più alta
- Una scapola in fuori (tipo ala)
- Inclinazione del busto da un lato
- Diversità dei triangoli della taglia (spazio tra braccia e corpo)
In altri casi la scoliosi emerge casualmente da radiografie o risonanze magnetiche effettuate per motivi diversi.
Da un punto di vista sintomatico l'esperienza clinica dimostra che, per la maggior parte, le scoliosi sono completamente asintomatiche.
In altri termini la scoliosi non è quasi mai associata a mal di schiena o a dolori del rachide.
Indipendentemente da questo la scoliosi, una volta identificata, può comunque diventare motivo di ulteriori indagini.
Cause della scoliosi
In qualche caso la scoliosi può avere cause conclamate.
Ne riferiamo un elenco sommario in basso:
- Dismetria arti inferiori
- Malattie neuromuscolari (come la paralisi cerebrale, la poliomelite o la distrofia muscolare, ipotonia congenita, atrofia muscolo spinale)
- Malformazioni neonatali (come l'emivertebra, in cui un lato della vertebra non riesce a svilupparsi normalmente durante la gravidanza)
- Tumori (come quelli provocati dalla neurofibromatosi, una malformazione neonatale connessa in alcuni casi con tumori benigni della colonna vertebrale)
- Disturbi metabolici
- Malattie del tessuto connettivo
- Disturbi reumatici
- Sindrome di Down
- Nanismo
- Displasie
- ecc.
L'elenco sopra esposto si riferisce in realtà al 15% - 20% dei casi di scoliosi, in cui la causa è appunto nota.
Tuttavia nel 80% - 85% dei casi la scoliosi non ha una causa evidente, nel senso che si manifesta spontaneamente senza la concomitanza di altre malattie o situazioni patologiche.
Vale a dire nella stragrande maggiornaza dei casi la scoliosi insorge e progredisce inesorabilmente senza motivi apparenti.
Quando la scoliosi insorge senza una causa apparente si definisce idiopatica.
Da un punto di vista statistico e epidemiologico quindi la scoliosi è quasi sempre idiopatica.
Classificazione della scoliosi
La scoliosi, quando individuata, può diventare motivo di approfondimenti diagnostici specialistici.
In questo caso viene innanzitutto valutata analizzando diversi parametri al fine di capirne, soprattutto, il livello di evolutività.
A tale scopo vengono presi in considerazione specifici indicatori sulla base dei quali la scoliosi viene classificata.
Esistono diverse forme di classificazione a seconda del parametro oggetto di studio.
Classificazione in base al grado di curvatura
Il grado di curvatura della scoliosi è uno dei parametri principali presi in considerazione quando si va a studiare una scoliosi.
Questo parametro restituisce l'ampiezza delle curve scoliotiche.
Il grado di curvatura della scoliosi è molto difficile da valutare poiché la scoliosi è un fenomeno tridimensionale.
Pertanto vengono misurate la curvatura sul piano frontale, la curvatura su piano laterale e infine il grado di rotazione delle vertebre.
Misurazione dell'angolo Cobb
La scoliosi può essere analizzata e misurata con diverse metodiche ma lo standard di misurazione maggiormente utilizzato a livello internazionale è l'angolo Cobb.
L'angolo Cobb indica l'ampiezza delle curve scoliotiche.
L'angolo di Cobb viene determinato su base radiografica, quindi per stabilire l'angolo Cobb si deve innanzitutto disporre di un'immagine radiografica della scoliosi da valutare.
Quindi si deve identificare con precisione il tratto di colonna vertebrale che si intende analizzare, cioè il tratto di colonna che presenta scoliosi.
Si tracciano due rette: una tangente al piatto superiore della prima vertebra del gruppo scoliotico e l'altra tangente al piatto inferiore dell'ultima vertebra scoliotica.
L'intersezione delle due rette determina l'angolo Cobb.
Per comodità, soprattutto nelle scoliosi lievi, è possibile rilevare l'angolo di Cobb dall'ampiezza dell'angolo di intersezione delle due perpendicolari alle rette tangenti.
Sulla base dell'ampiezza delle curve scoliotiche, misurate in angoli Cobb, è possibile definire il livello di gravità della scoliosi.
Un angolo Cobb di modesta entità corrisponde a un basso grado di scoliosi mentre un angolo Cobb più ampio indica un livello di scoliosi importante.
In tabella riportiamo la casistica completa.
Valore Cobb | Significato prognostico |
---|---|
< 5° | Non vi è scoliosi |
5° - 20° | Scoliosi a basso rischio evolutivo |
20° - 40° | Scoliosi evolutiva contenibile con metodiche non cruente |
> 40° | Scoliosi evolutiva grave contenibile con intervento chirurgico |
L'angolo Cobb non costituisce un criterio di misurazione perfetto, in quanto può essere facilmente soggetto a errori di interpretazione o tracciatura.
Tuttavia i gradi Cobb costituiscono ad oggi un criterio di valutazione universalmente accettato.
Altri metodi di misurazione della scoliosi
Esistono altri metodi per valutare l'entità della scoliosi; alcuni sono rudimentali, altri estremamente sofisticati.
- Test di Adams: è il test più semplice. Il soggetto viene fatto inclinare in avanti in modo da evidenziare meglio il gibbo scoliotico. A questo punto viene posto sul dorso lo scoliosometro, un semplice strumento a bolla in grado di rilevare l'angolo di rotazione del dorso.
- Si tratta di un esame piuttosto impreciso e grossolano e facilmente soggetto a errori di misurazione.
- Deviazione laterale relativa del rachide: sulla base di una radiografia in proiezione frontale della colonna vertebrale, si misura la distanza fra la VII vertebra cervicale e la IV vertebra lombare (Y).
- Si considera la vertebra apicale della curva scoliotica e si misura la distanza fra il suo centro e l'asse del rachide: questo parametro rappresenta la deviazione laterale del rachide (X).
- Il rapporto X/Y rappresenta la deviazione laterale relativa del rachide che è un numero adimensionale.
- Se sono presenti due curve scoliotiche si avranno due deviazioni, X1 e X2, e la deviazione laterale relativa sarà data dal rapporto (X1 + X2)/Y
- Rasterstereografia: si tratta di un sistema di rilievo e di ricostruzione grafica del rachide estremamente evoluto.
- Si tratta di una metodica non invasiva, basata su una rilevazione ottica digitale, in grado di ricostruire un modello virtuale della colonna vertebrale, della gabbia toracica e del bacino.
- Dal modello digitale ottenuto non solo è possibile ottenere un'immagine tridimensionale estremamente affidabile della colonna vertebrale ma è anche possibile estrapolare dati numerici finalizzati a ulteriori analisi.
- Si tratta tuttavia di una metodica ancora molto settoriale e non impiegata su larga scala.
Classificazione morfologica
Sulla base della misurazione delle curve scoliotiche si riesce a ricostruire un modello della colonna vertebrale.
Una volta ricostruita la morfologia del rachide, è possibile procedere a una identificazione della scoliosi, sulla base di un metodo di classificazione.
Esistono diversi metodi di classificazione della scoliosi ma la classificazione morfologica di Lenke, pubblicata nel 2001, costituisce ormai il criterio di valutazione universalmente adottato, soprattutto in ambito ortopedico e chirurgico.
Questo tipo di classificazione si distingue dalle vecchie classificazioni soprattutto per l'introduzione dell'operatore sagittale (cioè il parametro di valutazione della scoliosi sul piano laterale) e per l'introduzione del modificatore lombare (cioè il parametro di valutazione di traslazione laterale del tronco), oltre che per altre importanti innovazioni.
La scoliosi pertanto viene classificata, secondo Lenke, in base ad almeno tre parametri: proiezione frontale, operatore sagittale, modificatore lombare.
Proiezione frontale
Sulla base dell'esame della scoliosi sulla proiezione frontale si distinguono le sei tipologie esposte nella figura sotto.
La parte in rosso rappresenta la curva principale mentre la parte in verde la curva di compenso.
Tipologia | Denominazione |
---|---|
1 | Toracica |
2 | Doppia toracica |
3 | Doppia primaria |
4 | Doppia toracica con compenso strutturato lombare (tripla curva) |
5 | Lombare o toracolombare |
6 | Lombare o toracolombare con compenso strutturato toracico |
Operatore sagittale
Si definisce operatore sagittale un parametro che indica il grado della curvatura cifotica, cioè la curvatura della colonna vertebrale sul piano sagittale.
L'operatore sagittale dipende dall'ampiezza dell'angolo di Cobb sul piano laterale.
Si possono avere tre possibilità: -, N, +.
Valore operatore sagittale |
Valore angolo di Cobb |
Significato clinico |
---|---|---|
- | < 10° | Il dorso è piatto, manca la fisiologica cifosi |
N | 10° - 40° | La curvatura cifotica è nei limiti della norma |
+ | > 40° | La curvatura cifotica è eccessiva |
Modificatore lombare
Il modificatore lombare è un parametro che quantifica la traslazione laterale della colonna vertebrale lombare sul piano frontale.
Il modificatore lombare si identifica tracciano una retta verticale cha parte dalla linea mediana dell'osso sacro e si proietta verso l'alto.
Si valuta il passaggio in corrispondenza della vertebra apicale della curvatura lombare sul piano frontale.
Esistono tre possibilità: A, B, C.
Valore modificatore lombare |
Punto di passaggio | Significato clinico |
---|---|---|
A | Fra i peduncoli | Traslazione lombare poco grave |
B | Tangente al peduncolo | Traslazione lombare di gravità media |
C | Esternamente al peduncolo | Traslazione lombare grave |
Classificazione in base al grado di maturazione scheletrica
Il grado di maturazione scheletrica è un altro parametro fondamentale per lo studio della scoliosi poiché indica il grado di ossificazione dello scheletro ed è un parametro strettamente legato all'età del Paziente.
Per questo motivo l'età del Paziente è considerata un dato importante per stabilire il livello di maturazione scheletrica.
Tuttavia, in maniera più accurata, il grado di maturazione scheletrica viene determinato tramite il test di Risser.
Tale test è basato sull'analisi del livello di ossificazione delle creste iliache ottenuto su base radiografica.
Si ottiene un punteggio che va da 0 a 5.
Il livello 0 indica assenza di ossificazione: in queste condizioni lo scheletro è estrememente adattativo per cui in caso di scoliosi vi è un rischio di evoluzione molto alto.
Il livello 5 indica una completa ossificazione dello scheletro: in questa situazione lo scheletro è molto meno soggetto a variazioni della propria forma poiché è completamente ossificato e pertanto una scoliosi in queste condizioni presenta un basso rischio di aggravamento.
In generale con un valore di 1 o 2 il rischio di peggioramento della scoliosi è considerato del 50% mentre per un Risser da 3 a 5 il rischio di peggioramento è intorno al 20%.
Più il valore Risser è basso, più la scoliosi è a rischio di evoluzione.
Classificazione in base alla sede delle curvature scoliotiche
A seconda della localizzazione delle curve scoliotiche è possibile fare una previsione riguardo la possibile evoluzione della scoliosi.
Fino agli 8 - 9 anni le curve dorsali danno maggiori segnali di mobilità mentre le curve lombari sono meno evolutive.
Durante l'adolescenza, al contrario, le curve dorsali sono più stabili mentre le curve lombari sono maggiormente soggette a peggioramento.
Inoltre le curve scoliotiche corte, cioè le curve che comprendono poche vertebre, sono generalmente più evolutive.
Classificazione in base al grado di deformazione delle vertebre
Le vertebre interessate da scoliosi possono presentare morfologia normale o possono presentare variazioni morfologiche o dismorfismo.
Sulla base di questo parametro si distinguono due situazioni.
Se non vi è alterazione della forma delle vertebre si parla di atteggiamento scoliotico, mentre se vi è alterazione della forma delle vertebre si parla di scoliosi strutturale.
Atteggiamento scoliotico
Si definisce atteggiamento scoliotico la presenza di scoliosi senza alterazione strutturale delle vertebre.
Vale a dire è presente una scoliosi ma le vertebre non hanno subito alterazioni nella loro forma, sono del tutto normali sotto l'aspetto morfologico.
Si parla in questi casi di paramorfismo, cioè una situazione in cui l'alterazione della forma del rachide non dipende da un'alterazione della forma delle vertebre ma solo dal fatto che non sono allineate fra loro e formano delle curve.
L'atteggiamento scoliotico è una situazione tutto sommato non grave poiché, se le vertebre conservano la loro struttura morfologica, la correzione delle curve scoliotiche è meno problematica, come vedremo.
Scoliosi strutturale
Si definisce scoliosi strutturale una scoliosi con dismorfismo, cioè con deformazione strutturale delle stesse vertebre.
L'alterazione morfologica interessa sia singole vertebre che l'intera colonna vertebrale.
Le vertebre infatti tendono a seguire l'atteggiamento scoliotico fino a distorcersi in senso spiraliforme seguendo la direzione delle linee di forza che governano la stessa scoliosi.
Prognosi della scoliosi
Sulla base delle classificazioni della scoliosi viste in precedenza e sulla base dell'andamento statistico, l'Ortopedico riesce a formulare una previsione riguardo la possibile evoluzione di una scoliosi.
Da un punto di vista prognostico il parametro chiave è l'età del Paziente, vale a dire il suo livello di maturità scheletrica.
Più il soggetto è giovane e più plastico sarà il suo scheletro.
Le forze deformanti che agiscono sulla colonna vertebrale troveranno minor resistenza in un soggetto giovane e la colonna vertebrale sarà flessa e ruotata con più facilità.
Quindi più il soggetto è giovane, maggiore è la probabilità che la scoliosi sia evolutiva.
Bisogna comunque tenere in considerazione anche gli altri parametri.
Incrociando l'età del Paziente con il grado di curvatura della curva scoliotica è possibile osservare precise dinamiche.
Sotto riportiamo una tabella che indica la percentuale di rischio di evoluzione della scoliosi in base a età e gradi Cobb.
Età | ||||
---|---|---|---|---|
10-12 | 13-15 | 16 | ||
C o b b |
< 20° | 25% | 10% | 0% |
20° - 30° | 60% | 40% | 10% | |
30° - 60° | 90% | 70% | 30% | |
> 60° | 100% | 90% | 70% |
Percentuale di rischio di evoluzione della scoliosi
Fonte: www.my-personaltrainer.it
Dalla tabella si osserva che più il grado di curvatura è accentuato, più rapida è la progressione della scoliosi e, viceversa, un basso grado di curvatura indica un basso livello di evolutività della scoliosi.
Una situazione molto compromessa indica infatti la presenza di forze deformanti molto elevate per cui in questi casi, va da sé, la progressione purtroppo è più rapida e a maggior ragione se il Paziente è giovane.
Una curva poco accentuata indica invece che le forze attive sono lievi tanto che, al di sotto dei 20 gradi Cobb, dopo i 16 anni la possibilità che una scoliosi evolva sono pari a 0.
Per quanto riguarda il grado di dismorfismo delle vertebre, si può affermare che la presenza di dismorfismo sia generalmente considerata un fattore di maggiore gravità.
Tuttavia si osserva come un paramorfismo spesso evolva facilmente in un dismorfismo, soprattutto nei soggetti giovani.
Pertanto, nei giovanissimi, la presenza di atteggiamento scoliotico non deve essere sottovalutata ma tenuta sotto stretto controllo e possibilmente corretta con la massima sollecitudine.
Un altro parametro interessante, a fini prognostici, è la localizzazione delle curvature scoliotiche.
Come già specificato in un soggetto molto giovane la deformazione maggiore avviene a livello dorsale mentre in un adolescente a livello lombare.
In ultima istanza, sulla base dell'incrocio e del confronto dei vari parametri visti in precedenza, le scoliosi vengono generalmente suddivise, in base al loro livello di gravità, in due principali categorie: lievi e gravi.
Naturalmente, fra questi due estremi, esistono infinite sfumature intermedie.
Scoliosi lieve
Viene considerata lieve la scoliosi al di sotto dei 40° Cobb e con un basso livello di evolutività.
La scoliosi lieve è considerata generalmente poco grave in quanto presenta un basso livello di deformità e un basso livello di evolutività.
Rientrano pertanto in questa definizione gli atteggiamenti scoliotici e le scoliosi strutturali fino a 40° Cobb.
In questi casi il livello di dismorfismo vertebrale è basso o assente.
Scoliosi grave
E` considerata grave la scoliosi superiore ai 40° Cobb e con un alto grado di evolutività. In questi casi generalmente è presente un dismorfismo notevole a livello delle singole vertebre.
Le scoliosi gravi rappresentano il 2% - 3% delle scoliosi.
Trattamento della scoliosi
La scoliosi, lasciata senza controllo, tende a progredire quindi si cerca di contrastarne il decorso.
La linea terapeutica da seguire viene stabilita dall'Ortopedico in base al livello di gravità della scoliosi.
Scoliosi lieve
La scoliosi considerata lieve viene trattata con terapie non cruente, tutte orientate al contenimento e alla correzione delle curve scoliotiche.
Il tentativo è quello di impedire l'evoluzione della scoliosi cercando di riallineare il rachide.
I rimedi tradizionali nei confronti delle scoliosi lievi sono fondamentalmente basati sulla somministrazione di esercizi correttivi e sull'impiego di corsetti ortopedici.
Accanto a questi rimedi tradizionali, nel corso degli anni, si sono affacciate nuove proposte terapeutiche integrative che ormai costituiscono, in molti casi, una parte importante del trattamento per la scoliosi.
Ginnastica correttiva
La ginnastica correttiva è considerata da sempre uno dei pilastri fondamentali della riabilitazione motoria per la scoliosi.
Il principio su cui si basano gli esercizi è quello di contrastare le curvature scoliotiche, insistendo quindi su movimenti in direzione opposta.
Si predilige l'esercizio attivo, vale a dire il movimento volontario fatto dallo stesso Paziente, poiché in questo modo viene favorito il rinforzo di quei gruppi muscolari ritenuti deficitari e, al tempo stesso, l'allungamento dei muscoli responsabili del mantenimento delle curve scoliotiche.
Vengono utilizzati diversi attrezzi fra cui, in particolare, la spalliera che costituisce un sussidio molto utile per numerosi esercizi, sia a terra che in stazione eretta.
Nel trattamento della scoliosi non bisogna dimenticare gli esercizi respiratori poiché, soprattutto nei casi più gravi, la meccanica della gabbia toracica è sempre compromessa.
Sulla base di questi principi è possibile pertanto sviluppare programmi di ginnastica correttiva che tuttavia devono essere sempre personalizzati e adeguati al singolo Paziente.
Riordiamo infatti che le scoliosi non sono tutte uguali ma ogni Paziente presenta curve e forme di adattamento assolutamente individuali.
Perciò il programma di rieducazione motoria proposto deve essere individualizzato.
Infine è sempre consigliato il nuoto come attività sportiva per eccellenza in quanto permette un lavoro completo sulla colonna vertebrale e totalmente in scarico.
Corsetti ortopedici
Il corsetto ortopedico è uno strumento essenziale per il contenimento delle curve scoliotiche.
Esistono diversi tipi di corsetto a seconda della tipologia di scoliosi:
- Corsetto Milwaukee: è piuttosto universale in quanto adattabile a qualsiasi forma di scoliosi.
- Corsetto Lionese: utile soprattutto per scoliosi lombari o dorso lombari.
- Corsetto Lapadula: utilizzato per scoliosi lombari o dorso lombari.
I corsetti esercitano pressioni esterne sulle curve scoliotiche al fine di rallentarne la spinta evolutiva verso l'esterno e favorire la crescita della colonna vertebrale lungo l'asse verticale.
Terapie complementari
Accanto ai rimedi classici esistono altre metodiche complementari che ne costituiscono una valida integrazione.
Elenchiamo alcune di esse:
- Metodo Mézière: si tratta di una metodica rieducativa che lavora sulle catene muscolari. Ogni muscolo infatti non lavora in maniera isolata ma insieme ad altri muscoli per cui, secondo questo metodo, il lavoro rieducativo si sviluppa su tutta la catena dei muscoli coinvolti in un determinato movimento o in una determinata postura.
- Massaggio connettivale: si tratta di una particolare forma di massoterapia che va a stimolare riflessi di tipo viscerale. È utile nel rilascio delle tensioni interne.
- Rolfing: si tratta di un metodo misto di tecniche orientate al riequilibrio delle fasce muscolari e esercizi di rieducazione motoria.
- Trazioni vertebrali: le trazioni vertebrali sono finalizzate ad allungare meccanicamente la colonna vertebrale. Il Paziente viene imbragato a livello cervicale e lombare e viene trazionato attraverso l'applicazione di carichi.
- Chiropratica: si tratta di una tecnica manipolativa finalizzata a ripristinare la corretta mobilità delle vertebre.
- Training autogeno: è una tecnica finalizzata alla presa di consapevolezza delle varie parti el corpo al fine di produrre un rilassamento muscolare.
- Pilates: si tratta di una forma di ginnastica posturale che in alcuni casi può essere utile in caso di scoliosi.
- Ecc.
Scoliosi grave
Nei casi gravi, cioè con curvature oltre i 40° - 45° Cobb è possibile ridurre le curve scoliotiche soltanto attraverso un intervento chirurgico.
Il grado di dismorfismo infatti è troppo accentuato e i metodi descritti in precedenza sono insufficienti a contenere il problema.
Un intervento chirurgico di fissazione artrodesica viene sempre effettutato solo alla fine dell'età dello sviluppo, allo scopo di non ostacolare la crescita dello scheletro, per quanto possibile.
Approccio osteopatico alla scoliosi
Da un punto di vista osteopatico è possibile osservare che la scoliosi è sempre associata alla presenza di importanti alterazioni dinamiche della struttura muscolo scheletrica.
Con il termine alterazioni dinamiche ci si riferisce non a un grossolano malfunzionamento meccanico dell’organismo ma a specifiche restrizioni di mobilità di alcuni elementi anatomici e a specifiche tensioni muscolo fasciali interne all’organismo.
Come è possibile osservare ordinariamente in svariate situazioni, tali restrizioni sono in grado di compromettere la funzione delle parti del corpo ma, sui lunghi tempi, anche di alterare l'anatomia delle stesse.
Per esempio un tendine o un legamento sottoposti per molto tempo ad una tensione eccessiva tenderanno a sviluppare una calcificazione. Anche una vertebra compressa per molto tempo, tenderà ad appiattirsi e a sviluppare un’ernia.
Allo stesso modo una colonna vertebrale costretta a incurvarsi a causa di una tensione anomala, col tempo tenderà a mantenere tale curvatura, specialmente se lo scheletro è ancora malleabile.
È quindi possibile ipotizzare che un adattamento osteopatico, pur in associazione ad altri fattori eziologici, possa concretamente contribuire allo sviluppo di una scoliosi.
Certamente la sola correzione osteopatica non è in grado di eliminare una scoliosi ma, in ogni caso, la correzione osteopatica porta sempre indiscutibili vantaggi fra cui:
- Miglioramento dei sintomi associati
- Miglioramento della mobilità generale del rachide
- Riduzione del livello di evolutività della scoliosi
Alterazioni osteopatiche associate alla scoliosi
Per capire come funziona un adattamento di tipo osteopatico partiamo da una semplice constatazione.
Se una forza anomala interviene andando a perturbare il corretto funzionamento di una parte dell'organismo, l'intero organismo è costretto ad adattarsi a questa situazione.
Se per esempio un blocco articolare a livello di un piede tende ad adattare l'assetto posturale della persona verso destra, automaticamente si innescano contratture di compenso che cercheranno di riportare il tronco a sinistra.
Questa forma di compenso quindi, nel tentativo di contrastare un deficit a livello di un piede, finisce per coinvolgere il sistema scheletrico e muscolo fasciale nella sua interezza.
A questo punto la persona si trova in uno stato di compenso costante poiché, finché persiste il problema alla base, l'organismo è costretto ad adattarsi di conseguenza.
Come già esposto, non è possibile affermare con certezza che tale meccanismo sia alla base dello sviluppo di una scoliosi. Ma, d’altro canto, è noto che la maggior parte delle scoliosi è di origine idiopatica e, al tempo stesso, la presenza costante di tali alterazioni nel Paziente scoliotico è facilmente verificabile.
In via del tutto ipotetica, pertanto, non è possibile escludere che la scoliosi possa nascere come forma di compenso nei confronti di specifiche disfunzioni di natura dinamica intrinseche all'organismo.
Di fatto le profonde deformazioni e le importanti deviazioni della scoliosi potrebbero essere il risultato di un adattamento meccanico della colonna vertebrale a precise disfunzioni dinamiche che si mantengono attive e determinano, talvolta in tempi sorprendentemente brevi, un adattamento morfologico delle strutture portanti.
Tale adattamento dapprima è solo funzionale, infine anche anatomico.
Questo principio naturalmente vale in generale, non solo per la scoliosi, ma nel caso della scoliosi assume forme particolarmente evidenti da un punto di vista macroscopico.
La maggior parte delle volte infatti una catena disfunzionale non è fisicamente visibile: è percepibile dal Paziente sotto forma di sintomo, è individuabile da un Operatore attraverso i test osteopatici, ma, se si osserva la persona, non si nota nulla per quanto riguarda l'aspetto esteriore.
Per esempio una contrattura su un braccio non deforma il braccio.
Nel caso della scoliosi invece le forze agiscono su strutture dinamiche ancora plastiche, ancora in evoluzione, e pertanto non solo riescono a condizionarne la funzione ma potrebbero riuscire anche a provocarne una deformazione stabile sotto il profilo anatomico.
Per capire come questo potrebbe avvenire è necessario chiarire, in via preliminare, alcune basilari nozioni di anatomia e biomeccanica.
Il tessuto connettivo e le sue proprietà
I tessuti che costituiscono l'apparato locomotore sono tessuti connettivi.
Il tessuto connettivo è, in parole semplici, la materia, la pasta di cui sono costituiti lo scheletro e l'apparato locomotore (ossa, cartilagini, tendini, ecc).
Quindi conoscere la struttura del tessuto connettivo è importante per capire come possano avvenire quelle trasformazioni scheletriche che portano allo sviluppo di una scoliosi.
Come già specificato esistono molti tessuti connettivi: tessuto osseo, tessuto cartilagineo, tessuto connettivo denso, tessuto connettivo lasso, tessuto adiposo, ecc.
Questi tessuti sono molto diversi tra loro: una porzione di tessuto osseo e una porzione di tessuto adiposo apparentemente non hanno nulla in comune.
Eppure tutti questi tessuti sono accomunati dal fatto di possedere la medesima struttura anatomica.
In poche parole tutti i tessuti connettivi sono costituiti da una Matrice Extra Cellulare (MEC), cioè una sorta di pasta, in cui sono immerse le cellule.
Mentre in altri tessuti, come per esempio i tessuti epiteliali, le cellule sono unite tra loro come tanti mattoni in un muro, nei tessuti connettivi le cellule non sono unite fra loro ma si trovano immerse in una sostanza di composizione variabile che prende il nome di Matrice Extra Cellulare.
Sono proprio la composizione della Matrice Extra Cellulare e la tipologia di cellule a determinare la differenza tra un tessuto connettivo e l'altro: nel tessuto adiposo prevale il grasso, nel tessuto osseo prevale il calcio ma la costituzione anatomica di base è molto simile.
Quando due tessuti connettivi sono contigui, cioè sono uno attaccato all'altro, le Matrici Extra Cellulari continuano l'una nell'altra senza soluzione di continuità.
Per esempio quando un osso è attaccato a una cartilagine la matrice ossea diventa matrice cartilaginea in maniera graduale senza che vi sia un'interruzione, una separazione.
E questo vale per le ossa con i tendini, con le fasce muscolari, con i legamenti, ecc. I vari tessuti connettivi si continuano l'uno nell'altro.
In questo modo si comprende come l'intero apparato locomotore sia fondamentalmente costituito da un'unica amalgama che cambia consistenza e specificità a seconda dei distretti anatomici e a seconda delle esigenze di tipo funzionale.
La contiguità dei tessuti connettivi non rimane confinata all'apparato locomotore ma prosegue fino alle fasce superficiali per arrivare alle fasce sottocutanee.
In altri termini l'organismo umano è costituito da un'impalcatura connettivale integrata in cui trovano alloggio il sistema nervoso e gli organi interni.
In realtà la Matrice Extra Cellulare non risponde soltanto a funzioni meccaniche, di sostegno ma costituisce anche un complesso network in cui le sostanze e le informazioni circolano liberamente.
Innanzitutto nella MEC hanno luogo gli scambi di sostanze fra cellula e ambiente esterno.
Inoltre nella MEC avvengono scambi di informazione attraverso lo spostamento di sostanze che attivano i recettori di membrana delle cellule (Gennis, 1989).
Infine per mezzo della MEC avviene la trasmissione delle tensioni meccaniche da una parte all'altra dell'organismo, come in una sorta di sistema a ingranaggi, in cui la disfunzione di una parte determina la disfunzione dell'insieme.
In questo modo, attraverso i tessuti connettivi, tutti gli elementi del corpo risultano strettamente interconnessi l'uno con l'altro e dialogano costantemente fra loro.
Legge di Wolff
La struttura del tessuto connettivo spiega le deformazioni ossee che avvengono nell'organismo sulla base della legge di Wolff.
Formulata nel 1892, questa importante legge biomeccanica è accettata ancora oggi dalla maggior parte degli Autori, sulla base di precise ricerche sperimentali.
La legge di Wolff afferma che, sotto carico e in seguito ad alterazioni patologiche della forma esterna degli elementi ossei, la trasformazione dell'architettura dell'osso segue leggi matematiche.
In particolare le trabecole ossee (che costituiscono la parte interna dell'osso) si dispongono secondo le direzioni principali delle linee di forza.
Inoltre lo spessore delle singole trabecole e gli spazi tra esse variano al variare dell'intensità del carico.
Quindi ogni variazione di funzione o di forma nell'osso si accompagna a variazioni sia della sua architettura interna che della sua conformazione esterna.
Riassumendo, se lo scheletro è sottoposto a forze anomale, allora tenderà a deformarsi seguendo la direzione di queste forze.
Questo è tanto più valido quanto lo scheletro è malleabile, poco ossificato.
Quindi nei bambini lo scheletro, non ancora ossificato, in presenza di perturbazioni dinamiche sarà facilmente soggetto a deformazioni.
Al contrario negli adulti non vi saranno deformazioni importanti poiché lo scheletro, ormai ossificato, riesce a contrastare le forze anomale e non subisce variazioni morfologiche.
Bisogna considerare che le forze in gioco potrebbero non essere eccessive ma sono costanti e normalmente restano attive per anni.
Questo comporta un adattamento delle strutture ossee che, seguendo la legge di Wolff, dapprima si conformano in maniera intrinseca e successivamente anche esteriormente, letteralmente modellandosi sulle linee di forza a cui sono soggette.
Se si osserva una vertebra scoliotica si vede come tutto il dismorfismo coinvolga l'intera vertebra che appare come fusa e rimodellata secondo un andamento per lo più spiraliforme.
Per la contiguità fra tessuti connettivi spiegata nel paragrafo precedente questo tipo di dismorfismo finisce per coinvolgere non solo lo scheletro ma anche tutti gli elementi connettivi dell'intero organismo (legamenti, cartilagini articolari, fasce muscolari, tendini, gabbia toracica) fino a coinvolgere anche gli organi interni.
La scoliosi è pertanto un fenomeno estremamente complesso che non riguarda solo la colonna vertebrale ma l'intero organismo.
Trattamento osteopatico della scoliosi
L'Osteopatia interviene andando a riequilibrare e ad annullare quelle forze anomale che condizionano la colonna vertebrale e la deformano.
Le forze di cui parliamo sono essenzialmente disfunzioni o meglio adattamenti di tipo osteopatico che verranno esposti sotto, per lo meno i principali.
In realtà il trattamento osteopatico della scoliosi non si differenzia, sotto il profilo metodologico, dal trattamento di un'altra patologia.
I principi di base del metodo osteopatico restano sempre validi indipendentemente dal tipo di problema espresso dal Paziente.
Nel caso della scoliosi semplicemente viene posta una maggiore attenzione alle deviazioni dell'asse e alle linee di torsione del tronco ma l'indagine avviene sempre e comunque a trecentosessanta gradi.
Una scoliosi infatti può essere il risultato di un adattamento ad una disfunzione podalica come ad una disfunzione craniale per cui è necessario indagare, letteralmente, dalla testa ai piedi.
Adattamenti osteopatici a livello cranio sacrale
In caso di scoliosi idiopatica il primo sospettato è il sistema cranio sacrale.
Questo perché gli adattamenti della sfera craniale sono senza dubbio la causa principale di adattamento della colonna vertebrale.
Le disfunzioni primarie localizzate a livello del cranio, sia sulla base che sul massiccio facciale, sono in grado di generare catene disfunzionali discendenti che non solo coinvolgono la colonna vertebrale ma terminano addirittura a livello degli arti inferiori.
Il veicolo di trasmissione è la meninge esterna, una sorta di tappezzeria all'interno del neurocranio e del canale vertebrale, che presenta importanti connessioni con l'osso sacro e numerose inserzioni di minore entità a livello della colonna vertebrale, in prossimità dei forami di coniugazione.
È proprio attraverso la meninge esterna, o dura madre, che le forze anomale in partenza dal cranio si trasferiscono alla colonna vertebrale e, da lì per contiguità, agli altri elementi dell'apparato locomotore.
Nello specifico, è interessante osservare come esistano precise corrispondenze fra gli adattamenti della base del cranio e il bacino.
In particolare gli adattamenti osteopatici delle ossa iliache seguono piuttosto fedelmente le disfunzioni delle ossa temporali mentre gli adattamenti della squama dell'occipite influenzano in maniera diretta la mobilità dell'osso sacro.
La colonna vertebrale non fa che adeguarsi a questa situazione, in virtù della sua enorme capacità di adattamento, e soprattutto durante l'età dello sviluppo, vale a dire quando è ancora plastica e malleabile.
Il risultato è una conformazione per lo più spiraliforme in grado di adattarsi da un lato alle tensioni in arrivo dall'alto, dall'altro agli adattamenti più macroscopici delle ali iliache, connesse in maniera diretta alle ultime due vertebre lombari.
Sulla base di un adattamento craniale possono avere origine scoliosi a doppia o anche tripla curva.
Il trattamento osteopatico va a eliminare questa importante componente disfunzionale alleggerendo in maniera significativa il carico di forze tensive e compressive a livello della colonna vertebrale.
Per maggiori dettagli sul sistema cranio sacrale si rimanda alla sezione sul sistema cranio sacrale.
Adattamenti osteopatici dell'arto inferiore
In un numero significativo di casi, disfunzioni a partire dal basso possono dare origine a catene disfunzionali ascendenti che possono arrivare a perturbare il bacino e la colonna vertebrale lombare.
In qualche caso queste disfunzioni arrivano in maniera diretta anche più in alto, fino al tratto cervicale, ma anche quando si fermano alla zona lombare innescano comunque forme di compenso sui tratti alti del rachide.
Per cui le disfunzioni dell'arto inferiore danno spesso origine a curve primarie basse e a curve secondarie alte.
Quando si parla di arto inferiore ci si riferisce, più precisamente, alle grandi articolazioni (piede, ginocchio, anca), ai muscoli e alle fasce muscolari.
Da un punto di vista statistico, nella maggior parte dei casi le catene disfunzionali partono dal piede e si trasferiscono in alto attraverso le interconnessioni muscolo connettivali, in particolare attraverso il sistema delle fasce.
Le articolazioni di ginocchio e anca hanno un'influenza decisamente minore, piuttosto in molti casi sono esse stesse vittime di disfunzione piuttosto che sede di disfunzioni primarie.
Il piede, al contrario, è spesso sede di disfunzioni dinamiche di tipo primario.
In particolare gli adattamenti osteopatici sotto astragalici e le disfunzioni osteopatiche lungo l'interlinea di Chopart creano grossi fenomeni di instabilità a livello della volta plantare e interferiscono in maniera decisiva sulla corretta fisiologia articolare del piede.
Anche gli adattamenti della fascia plantare e della muscolatura intrinseca del piede hanno un ruolo importante da un punto di vista dinamico.
Inoltre bisogna considerare che la maggior parte dei muscoli diretti al piede parte dal polpaccio per cui, in molti casi, contratture profonde, in prossimità della membrana interossea, possono creare problemi meccanici importanti a livello del piede.
Per quanto riguarda gli altri distretti in qualche caso si riscontrano disfunzioni osteopatiche a livello del ginocchio, in particolare alla testa del perone, che creano adattamenti sia verso il basso, a livello dei muscoli peronieri diretti alla parte esterna del piede, che verso l'alto, in direzione della fascia lata della coscia fino al bacino.
In ogni caso le disfunzioni del piede e dell'arto inferiore riescono quasi sempre a creare catene ascendenti che arrivano al bacino, sia a livello ischiatico e iliaco che a livello pubico.
Gli adattamenti delle ali iliache e delle articolazioni sacro iliache creano i presupposti per le curve scoliotiche di compenso a livello lombare.
Tali disfunzioni, mantenute nel tempo, condizionano quindi non solo il tratto lombare ma anche il tratto toracico e quindi il tratto cervicale, costretto a garantire il mantenimento sul piano orizzontale dello sguardo e della posizione degli organi dell'equilibrio.
L'Osteopatia interviene in questi casi andando a riequilibrare i disguidi meccanici dell'arto inferiore, trattando non solo le disfunzioni primarie, ma anche e soprattutto il sistema fasciale e i tessuti connettivi, vale a dire i sistemi di trasmissione di dette disfunzioni.
Adattamenti osteopatici di tipo viscerale
Adattamenti osteopatici di tipo viscerale possono dare componenti restrittive di tipo meccanico sulla colonna vertebrale e sulla gabbia toracica.
Per adattamenti osteopatici di tipo viscerale si intende restrizioni di mobilità a livello non tanto dei visceri in sé, quanto piuttosto a livello delle fasce dei visceri, cioè dei sacchi connettivali che contengono i visceri.
È necessario precisare che un viscere soggetto a disfunzione osteopatica in realtà funziona perfettamente, non è malato.
Semplicemente si muove in maniera limitata rispetto alle sue possibilità poiché le fasce che lo avvolgono presentano tensioni anomale.
Queste tensioni fasciali pertanto non vanno a influenzare la funzionalità del viscere ma creano problemi al contorno, soprattutto alle parti scheletriche e connettivali su cui le stesse fasce si inseriscono.
Per esempio una disfunzione viscerale dello stomaco crea un nodo disfunzionale che porta limitazioni non tanto allo stomaco in sé quanto piuttosto alla gabbia toracica, al diaframma e alle strutture del mediastino, cioè alle strutture circostanti lo stomaco.
Le disfunzioni viscerali costituiscono dei blocchi dinamici attorno a cui l'organismo deve adattarsi.
In qualche caso disfunzioni viscerali a livello del mediastino, cioè del torace, possono dare componenti restrittive al tratto toracico creando, soprattutto in età pediatrica, curve scoliotiche primarie a livello dorsale.
A livello lombare ciò accade più raramente in quanto la zona lombare presenta un'impalcatura ossea decisamente più ridotta rispetto al tratto dorsale.
Le disfunzioni viscerali, per la verità, costituiscono motivo di scompenso in maniera statisticamente poco frequente.
Tuttavia, quando presenti, possono dare componenti restrittive molto potenti e riescono a creare tensioni interne significative, in grado di costringere la gabbia toracica e la colonna vertebrale ad adattamenti importanti.
Questo anche in considerazione del fatto che le disfunzioni viscerali agiscono anche per via riflessa, attraverso la catena del sistema nervoso autonomo o ortosimpatico.
Ogni viscere infatti riceve un'innervazione da nervi in partenza da un preciso gruppo di vertebre.
Quando un viscere si trova in disfunzione provoca, per via riflessa, una contrattura a livello delle vertebre da cui riceve innervazione.
Per esempio lo stomaco è collegato al gruppo di vertebre che va da D6 a D9, il pancreas alle vertebre D9 e D10, la vescica da D12 a L2, ecc.
Quindi una disfunzione viscerale non solo crea tensioni interne ma è in grado di influenzare, per via riflessa, il tono muscolare di particolari tratti della colonna vertebrale.
L'Osteopatia interviene in questi casi trattando la disfunzione viscerale e risolvendo quindi importanti nodi di tensione, spesso percepibili dal Paziente in maniera diretta non tanto a livello viscerale ma proprio a livello muscolo scheletrico.
Adattamenti osteopatici di tipo vertebrale
Solitamente gli ambiti di indagine osteopatica, in caso di scoliosi, sono prevalentemente quelli descritti in precedenza.
A titolo di completezza possiamo ancora aggiungere che, in alcuni casi, possono essere rilevate disfunzioni vertebrali variamente localizzate lungo il rachide.
Tuttavia si tratta quasi sempre di adattamenti di tipo secondario.
In effetti una disfunzione vertebrale, contrariamente a quanto si potrebbe supporre, non è quasi mai responsabile di una scoliosi.
La scoliosi è un fenomeno troppo complesso per poter essere sostenuto da qualche vertebra in disfunzione.
È comunque possibile, in una scoliosi, trovare adattamenti vertebrali ma solitamente si tratta di fenomeni secondari a catene disfunzionali più importanti.
Per questo motivo, in caso di scoliosi, le tecniche dirette alla colonna vertebrale sono piuttosto improduttive, se non addirittura controindicate.
In particolare le manovre dirette a thrust (quelle in cui si sente il tipico crack) non solo rischiano di agire su disfunzioni quasi certamente secondarie, ma verrebbero certamente applicate a un substrato anatomico di per sé dismorfico e quindi poco adatto a subire questo genere di manipolazione.
Soltanto qualora fossero attivi adattamenti funzionali importanti a livello di una singola vertebra tali da creare nodi disfunzionali di tipo primario, allora è necessario procedere allo scopo di risolvere una disfunzione vertebrale.
Ma anche in questi casi è sempre possibile utilizzare tecniche a energia muscolare, tecniche fasciali o altre forme di intervento a impatto zero escludendo manovre dirette a thrust.
Integrazione dell'Osteopatia con i rimedi tradizionali per la scoliosi
Il trattamento osteopatico mira a eliminare quelle tensioni meccaniche responsabili degli adattamenti disfunzionali della colonna vertebrale.
Questo tipo di intervento è assolutamente essenziale al fine di affrontare in maniera seria ed efficace un problema di scoliosi.
È chiaro che se non si rimuovono quelle componenti meccaniche alla base del processo di deformazione, difficilmente si riuscirà a contenere o arrestare la stessa deformazione.
Sulla base di queste considerazioni appare evidente che l'Osteopatia riveste un ruolo assolutamente centrale nel trattamento della scoliosi.
Per questo motivo l'Osteopatia non solo non entra in contrasto con le terapie tradizionali ma va addirittura a potenziarne gli effetti.
Osteopatia e busti ortopedici
L'esperienza dimostra che l'uso del busto ortopedico, in maniera isolata, non riesce ad arrestare una scoliosi, al massimo a rallentarla.
Finché le tensioni meccaniche interne restano attive, la deformazione scoliotica procede senza sosta.
Con questo non si nega l'utilità di un busto ortopedico.
Semplicemente si vuole sottolineare il fatto che se si vuole spingere una struttura in una direzione con un busto ortopedico, si riesce molto meglio nell'intento se, al tempo stesso, con l'Osteopatia si eliminano le forze che tirano nella direzione opposta.
Per esempio se si intende raddrizzare una curva scoliotica destra possiamo agire in due modi:
- Primo modo: piegare forzatamente a sinistra.
- Secondo modo: piegare a sinistra eliminando, al tempo stesso, le forze che spingono verso destra.
Il secondo modo è naturalmente più efficace.
L'Osteopatia si occupa appunto di eliminare quelle forze intrinseche che tendono a curvare la colonna, il busto ortopedico agirà da fuori andando a rinforzare e a potenziare l'intervento correttivo.
Osteopatia e ginnastica correttiva
Per quanto riguarda la ginnastica correttiva, vale lo stesso discorso.
La ginnastica correttiva si propone di far si che il Paziente auto corregga le proprie curvature scoliotiche facendo movimenti ed esercizi contrastanti le stesse curvature.
Il limite di questo approccio è che, in effetti, le contratture e gli adattamenti neurofisiologici alla base della scoliosi avvengono in via completamente automatica.
Un muscolo infatti non si contrae in maniera autonoma o volontaria, ma si contrae sulla base di un preciso comando in partenza dal sistema nervoso centrale.
Pertanto esercizi di auto allungamento mirati a sciogliere questo tipo di contratture sono poco efficaci, di per sé, poiché, una volta terminata la sessione di rieducazione motoria, le strutture tornano ad accorciarsi.
Al fine di agire efficacemente su questo genere di contratture è necessario intervenire ad un livello superiore.
Attraverso le tecniche osteopatiche è possibile rompere quegli schemi neurofisiologici e propriocettivi che sostengono le catene muscolari disfunzionali.
Solo in questo modo è possibile sciogliere realmente e stabilmente questo tipo di tensioni e di contratture restituendo elasticità ai muscoli e ai tessuti connettivi.
A questo punto un esercizio correttivo potrebbe essere utile a facilitare quei processi di riequilibrio che tuttavia da solo non riuscirebbe ad avviare.
Nel senso che, una volta che le strutture vengono messe in condizione di lavorare in maniera fisiologica grazie all'Osteopatia, allora potrebbero lavorare con una resa molto maggiore grazie alla ginnastica correttiva.
La rieducazione motoria dovrebbe intervenire pertanto solo successivamente un intervento osteopatico in quanto da sola non possiede gli strumenti adatti a rompere quegli schemi neurofisiologici alla base delle contratture patologiche o delle tensioni mio fasciali interne.
La ginnastica correttiva potrebbe acquistare in questo modo un nuovo significato da un punto di vista riabilitativo, diventando parte integrante di un programma di recupero motorio più ampio ed efficace.
Osteopatia e chirurgia
Quando si arriva a un intervento chirurgico la situazione è effettivamente grave da un punto di vista dell'adattamento scheletrico.
In ogni caso è comunque possibile intervenire con l'Osteopatia allo scopo di eliminare quelle componenti restrittive sicuramente ancora attive.
Da un punto di vista chirurgico infatti la colonna vertebrale viene raddrizzata in maniera forzosa, utilizzando barre e viti metalliche per assicurare la tenuta della posizione rettilinea.
Tuttavia le forze che hanno portato la colonna vertebrale in quella specifica situazione sono ancora attive all'interno e, se pur contrastate dai mezzi di sintesi, continuano a lavorare incessantemente.
Questo crea uno squilibrio ancora maggiore rispetto a prima dell'intervento poiché, mentre in precedenza queste tensioni trovavano sfogo andando a incurvare la colonna vertebrale, nel momento in cui ciò non può più avvenire necessariamente devono trovare sfogo in altre direzioni o su altri sistemi.
A questo punto non è possibile fare previsioni.
Semplicemente si può dire che, anche se dopo un intervento chirurgico la colonna vertebrale appare rettilinea e il problema sembra risolto, quelle forze intrinseche sono ancora attive e sicuramente sono destinate a trovare sfogo in altre forme.
In questo senso un riequilibrio osteopatico trova giustificazione in quanto, andando a riequilibrare questa importante componente tensiva, fa sì che la persona possa aspirare ad avere una migliore qualità di vita compatibilmente con la propria situazione.
Inoltre l'intervento osteopatico è utile anche a contenere gli effetti collaterali dell'intervento chirurgico.
Un intervento chirurgico di tale portata inevitabilmente provoca cicatrici, aderenze e crea una serie di restrizioni mio fasciali di entità sempre molto consistente.
Tutto questo si va a sommare al quadro disfunzionale originario e alle restrizioni imposte dalla stessa artrodesi dando origine a situazioni molto pesanti da sopportare dal punto di vista del Paziente.
Il trattamento osteopatico va a eliminare, per lo meno, la componente funzionale, in questi casi sempre molto consistente, e contribuisce a migliorare in maniera importante la qualità di vita del Paziente.
Osteopatia e altre terapie complementari
In linea di massima l'Osteopatia è compatibile con qualsiasi altra forma di intervento terapeutico o palliativo.
Il riequilibrio funzionale delle strutture mio fasciali non trova mai elementi di incompatibilità con altre forme di intervento terapeutico.
Anzi, restituire mobilità e funzionalità alle strutture va, caso mai, a potenziare gli effetti degli altri interventi terapeutici, poiché permette all'organismo di ritrovare le migliori condizioni funzionali possibili.
Vantaggi del trattamento osteopatico e suoi limiti
Il limite del trattamento osteopatico sta nel fatto che l'Osteopatia, pur lavorando su elementi di assoluta concretezza, non riesce a restituire a una struttura dismorfica la propria integrità o morfologia originaria.
Vale a dire che se la colonna vertebrale è ormai deformata, allora con l'Osteopatia non è possibile riportarla alla propria forma originaria.
L'Osteopatia non va mai a modificare la forma dell'organismo, né in caso di scoliosi né in nessun altro caso.
L'Osteopatia lavora sulla funzione dell'organismo, cioè permette all'organismo di muoversi al meglio e di esprimere al meglio le proprie potenzialità fisiologiche.
L'Osteopatia va quindi a eliminare le tensioni interne e le forze anomale che sicuramente nel corso degli anni hanno contribuito in maniera pesante all'instaurazione di una scoliosi, ma non riesce a riportare le strutture dismorfiche alla propria forma originaria.
Pertanto, ciò che può essere concretamente realizzato dall'Osteopatia è un serio e onesto riequilibrio funzionale in grado di impedire alla scoliosi di progredire negli anni successivi.
Il vero obiettivo del trattamento osteopatico è l'arresto del processo fisiopatologico alla base della scoliosi oltre che, naturalmente, il perseguimento di uno stato di benessere generale del Paziente e un miglioramento della qualità della sua vita.
La correzione di disfunzioni dinamiche attive da anni, infatti, dà origine a sensazioni di alleggerimento generale e di scioltezza muscolare che il Paziente spesso riferisce di non aver mai percepito in precedenza.
A questo si associano sempre anche benefici a livello psicologico in quanto il ripristino della funzione dinamica aumenta il range delle possibilità espressive della persona non solo dal punto di vista motorio ma sotto tutti i punti di vista.
Per inciso è comunque vero che, in alcuni casi, nel corso del processo di riequilibrio si possa assistere a una normalizzazione morfologica del rachide, letteralmente ad un raddrizzamento delle curve scoliotiche.
Si tratta comunque di situazioni non frequenti in cui non è presente un vero dismorfismo osseo ma piuttosto un atteggiamento scoliotico.
Casi reali
Allo scopo di illustrare meglio la reale potenza del trattamento osteopatico sono stati scelti un paio di casi estremamente interessanti.
Come già specificato, in età pediatrica le tensioni intrinseche della colonna vertebrale scoliotica possono essere eliminate dal trattamento osteopatico ma la colonna vertebrale, ormai dismorfica, difficilmente potrà riaquisire la forma originaria, a meno di un intervento chirurgico.
Pertanto il lavoro dell'Osteopata effettivamente resta un lavoro invisibile, dietro le quinte, poco percepibile da un osservatore esterno.
Esistono tuttavia situazioni in cui l'eliminazione di queste componenti meccaniche si manifesta con assoluta chiarezza.
Si tratta di casi, peraltro abbastanza rari, in cui adattamenti di tipo scoliotico si manifestano nella persona adulta.
Nella persona adulta lo scheletro è del tutto ossificato, per cui non è più plasmabile, non è più modellabile.
Quando un quadro osteopatico di tipo scoliotico si instaura in un adulto le tensioni interne vanno comunque a tentare di deformare la colonna vertebrale ma, non riuscendo a deformare gli elementi ossei, danno origine a semplici atteggiamenti scoliotici, non a vere scoliosi.
Tuttavia detti atteggiamenti sono del tutto pronunciati e visibili a occhio nudo; tra l'altro, nell'adulto, è quasi sempre interessata la zona lombare, contrariamente all'adolescente in cui le curve dorsali sono preponderanti.
Con il trattamento osteopatico il quadro disfunzionale viene risolto e, nel giro di poco tempo, il Paziente riacquisisce la propria morfologia originaria in maniera molto vistosa.
I casi sotto illustrati si riferiscono ai due Pazienti presi in esame.
Il primo Paziente presentava un mal di schiena con un atteggiamento scoliotico presente da un paio di mesi, mentre la seconda Paziente presentava questo tipo di atteggiamento addirittura da più di un anno peraltro senza neanche riferire sintomatologie dolorose.
In entrambi i casi il problema si è manifestato in età adulta per cui, anche se in atto da diverso tempo, non ha potuto dare origine a un vero e proprio dismorfismo a livello delle vertebre.
La colonna vertebrale è rimasta, per così dire, integra.
In questi casi, pertanto, è stato sufficiente rimuovere la disfunzione per far sì che la colonna vertebrale di questi Pazienti tornasse alla propria forma originaria, peraltro relativamente nel giro di poco tempo.
La Paziente, compromessa da più tempo, è ritornata alla normalità in meno di due settimane.
Nel bambino e nell'adolescente purtroppo questo è molto difficile che accada poiché a quell'età lo scheletro è molto malleabile e subisce deformazioni plastiche la maggior parte delle volte dificilmente reversibili.
Pertanto il lavoro osteopatico resta per così dire mascherato dal quadro osseo ormai dismorfico.
Mentre nell'adulto la colonna vertebrale riesce a ritrovare la propria morfologia originaria in quanto non è più deformabile, nel bambino e nell'adolescente questo a volte non accade poiché lo scheletro si è ormai adattato alle disfunzioni plasmandosi su di esse.
Questi casi dimostrano tuttavia come le disfunzioni osteopatiche non siano il frutto di una teoria o un punto di vista alternativo ma fenomeni assolutamente presenti e attivi.
Inoltre le forze in gioco non sono affatto trascurabili.
Se queste forze sono in grado di creare adattamenti paramorfici di tale portata sullo scheletro di un adulto, possiamo intuire cosa possono comportare su una struttura in pieno sviluppo.
Possiamo in realtà constatarne gli effetti.
Il trattamento osteopatico pertanto, anche se nel bambino e nell'adolescente non riesce sempre a restituire alla colonna vertebrale la forma originaria, porta sempre grossi miglioramenti da un punto di vista della qualità della vita e soprattutto incide in maniera importante sul carattere evolutivo della scoliosi rallentandone il decorso.
Tra l'altro bisogna considerare che un adattamento osteopatico capace di dare origine a una scoliosi in realtà provoca sempre anche tutta una serie di sintomi collaterali i quali, la maggior parte delle volte, restano in secondo piano o vengono addirittura ignorati in quanto coperti dall'importanza e dall'urgenza di risolvere la scoliosi in via prioritaria.
Per esempio le compressioni della base del cranio, oltre a dare componenti tensive sulla colonna vertebrale, spesso provocano anche disturbi dell'attenzione, insonnia, irritabilità, come anche piede piatto o addirittura mal di schiena, per citare degli esempi.
Questi aspetti, dopo il trattamento osteopatico, spesso si risolvono in parallelo dando origine non tanto ad una percezione diretta sintomo per sintomo, quanto piuttosto ad una sensazione generale di benessere ben percepita dal Paziente anche in giovane età.
Per concludere, la scoliosi è un fenomeno molto complesso, spesso è il risultato di una difficoltà generale di adattamento da parte dell'organismo.
L'Osteopatia dà un grosso contributo al ripristino dell'equilibrio funzionale della persona e al benessere generale del Paziente e ha un ruolo di primaria importanza nell'ambito dell'intervento terapeutico nei casi di scoliosi.